Fanny & Alexander

2023 PROSA
BIO

Fanny & Alexander è una bottega d’arte fondata a Ravenna nel 1992 da Luigi de Angelis e Chiara Lagani. Dalla contaminazione dei linguaggi – teatro, arti visive, letteratura, musica – la Compagnia crea spettacoli, live-performance, opere liriche e installazioni in- tessendo reti interdisciplinari, innescando interazioni di forme e contenuti classici con la sperimentazione e le nuove tecnologie.

Tra le recenti produzioni, Addio Fantasmi dal romanzo di Nadia Terranova (Einaudi editore), Storia di un’amicizia, versione teatrale de L’amica geniale di Elena Ferrante (Edizioni E/O), Se questo è Levi – vincitore di due Premi UBU, e Sylvie e Bruno da Lewis Carroll nella traduzione di Chiara Lagani per Einaudi (2021), finalista Premi UBU. 

Tra i suoi lavori storici si ricordano il ciclo dedicato al romanzo di Nabokov Ada o ardore a cui sono stati assegnati due premi Ubu; il progetto pluriennale dedicato a Il Mago di Oz (2007-2010) e l’affondo dedicato alla retorica pubblica con le serie dei Discorsi per indagare il rapporto tra singolo e comunità. 

MANSON

Drammaturgia, Costumi: Chiara Lagani

Regia, Luci, Progetto sonoro: Luigi De Angelis 

Con: Andrea Argentieri 

Organizzazione, Promozione: Maria Donnoli, Marco Molduzzi, Martina Barison, Francesca Volpato 

Produzione: E Production / Fanny & Alexander 

In collaborazione con: Olinda / Teatro La Cucina

 

SINOSSI

Lo spettacolo mette il pubblico nello scomodo ruolo di una sorta di giuria postuma: in un buio compatto e sonoro, immersivo e incubotico, si dipingono all’improvviso frasi secche e ritmate, che portano a una riesumazione narrativa e sensoriale degli eventi, come se per un attimo ci trovassimo nella famosa villa dell’omicidio, circondati dai passi ghiaiosi degli assassini, oppure prigionieri nella loro auto in fuga tra urla e stridore di freni, o ancora circondati dai canti hippy nel famoso Ranch, dove la Famiglia praticava i suoi riti, e infine nel tribunale vociante di arringhe, dove Manson è stato processato. È solo al termine di questa fantasmatica ricostruzione per suoni e scrittura concreta, che ci si accorge di una presenza reale in sala, una specie di testimone silente che dà le spalle fin dal principio alla platea. L’uomo si gira, si avvicina, invita ripetutamente il pubblico a rivolgergli delle domande. È proprio Manson, è qui, di fronte a noi. Il pubblico pesca adesso da un elenco di trentadue domande che gli sono state consegnate al suo ingresso a teatro e poi, singolarmente e volontariamente, rivolge il quesito scelto all’attore, che adesso risponde in inglese, sopratitolato.

A poco a poco e quasi inavvertitamente l’incalzare delle domande produce una strana enigmatica trasformazione nella percezione di chi assiste: in ballo c’è davvero solo il giudizio, la condanna alle azioni di questo strano, ambiguo personaggio? Oppure ci siamo anche noi, la nostra stessa repulsione oppure l’indecifrabile attrazione per questo caso macabro, per le parole depistanti e oblique che stiamo ascoltando? Avremo dunque la capacità, la possibilità di far luce nell’oscuro paesaggio dei significanti, di leggere nel libro nero e illeggibile del significato, delle molte rifrazioni manipolatorie del discorso? Potremo alla fine aprire un varco attraverso il muro specchiante della nostra stessa voglia di sapere, del nostro bisogno di vedere, di ottenere un dettaglio, e poi ancora un altro, sempre di più? Cos’è che cerchiamo esattamente? Cos’è, alla fine, che stiamo davvero guardando?

MATERNITÀ

drammaturgia, costumi Chiara Lagani

regia, luci, progetto sonoro Luigi De Angelis

con Chiara Lagani

architettura software multiscelta Vincenzo Scorza

produzione e-production/Fanny & Alexander

 

SINOSSI

In Maternità, tratto dal racconto di Sheila Heti, una donna si chiede, di fronte al pubblico seduto davanti a lei, cos’è che la trattiene dal mettere al mondo un figlio. Non si tratta di un monologo, ma di una strana specie di dialogo, sospeso tra dimensione assembleare e gioco con il caso. Di fronte alle domande più difficili Sheila si rivolge alle persone in sala a cui è stato dato un piccolo telecomando con cui rispondere ai suoi quesiti. Il dialogo col pubblico oscilla tra immedesimazione e giudizio proiettando sul testo una serie di interrogativi intimi e comuni su temi da sempre controversi.